Ed anche questo traguardo è stato raggiunto. Lo scorso dicembre mi ero finalmente guadagnata la tanto agognata laurea ed oggi mi è stato consegnato l’altrettanto agognato diploma in Gestalt Counseling.
Chi mi legge da un po’ sa che questo blog è nato proprio con l’intento di aiutarmi a portare a termine, non solo i miei buoni propositi, ma anche alcune delle miriadi di cose che ho lasciato in sospeso nel corso dei miei 35 (quasi 36) anni di vita.
Un altro aspetto importante su cui ho cercato di lavorare dal gennaio del 2017 è stato quello di imparare a celebrare i miei successi perché sono particolarmente brava a fustigarmi per ogni piccolo errore o fallimento, ma quando si tratta di dirmi “brava Sara, ce l’hai fatta”, le parole non sembrano volersi materializzare nell’aria.
E allora ecco che questo post va a riassumere un po’ l’essenza del mio blog.
Nel lontano 2012, animata da tutta le migliori intenzioni, mi sono iscritta al master in Gestalt Counseling. È stata un’esperienza ricchissima, a tratti dilaniante e sicuramente inaspettata perché quando ho compilato il modulo d’iscrizione pensavo che sarei andata ad imparare un lavoro, mai avrei pensato che in realtà sarebbe stata una dolorosissima esperienza di dissezione della mia persona.
Tranquilli, sono viva e nessuno si fa male durante la formazione, diciamo solo che a volta si è costretti ad andare in luoghi piuttosto scomodi, ma è soltanto un piccolo prezzo da pagare per arrivare ad una conoscenza più profonda.
Il master ha una durata di 3 anni. Alla fine di ogni anno si fa un esame, l’esame finale viene svolto nella sede Aspic di Roma, poi si consegna la tesi ed ecco che arriva il diploma. Se vi siete fatti due calcoli avrete già capito che nel mio caso si è inceppato qualcosa.
Questo qualcosa che s’inceppa è proprio uno dei tanti luoghi scomodi in cui mi sono dovuta addentrare durante la mia formazione. Io mi lancio in 100000 progetti e li porto tutti ‘quasi’ a termine ed è proprio quel quasi il problema. Quando arrivo nei pressi della fine mi paralizzo, comincio a criticare pesantemente tutto il mio operato, mi demoralizzo, ritengo che quello che ho fatto sia assolutamente inutile e che non lo trasformerò mai in qualcosa di prezioso o importante per me.
Capita anche a te? Benvenuto nel club!
Da dove nasce questo auto-sabotaggio? Boh, onestamente non lo so; o meglio, forse lo so, ma non lo trovo rilevante. Quello che trovo rilevante invece è capire dove poggia, ovvero sulla mia paura di mettermi in gioco perché non-sia-mai-che-faccio-una-figuraccia, non-sia-mai-che-le-persone-mi-critichino, non-sia-mai-che-le-persone-mi-trovino-impreparata.
Uuuuu che fatica campare così!
È per questo che ci ho messo anni a trovare il coraggio di mettermi a scrivere la tesi ed è sempre per questo che ritiro il diploma con un po’ di ritardo, ma l’importante è che adesso sia mio!
Quando mi sono laureata ho sminuito la mia impresa, oggi non lo farò.
Sono orgogliosa di questo diploma, sono orgogliosa del coraggio che ho avuto, sono orgogliosa di essermi messa in gioco e di aver cercato modi diversi e strumenti per uscire da alcuni schemi e copioni fissi della mia vita.
Una delle tante cose che ho imparato durante il master è che per me è difficile “concludere” (e sulla chiusura della Gestalt ci ho persino scritto un articolo). È una parte di me che non mi piace, tuttavia nel momento stesso in cui l’ho accettata e le ho dato motivo di esistere ho trovato il coraggio per superare l’empasse e lanciarmi nel baratro dell’incertezza del futuro.
Mentre scrivo vorrei avere in mano la matita di Zerocalcare per poter riassumere in pochi centimetri di carta tutto quello che mi passa per la testa, ed in qualche modo anche questa era una strada che avevo imboccato senza mai scoprire dove mi avrebbe portata.
Questo diploma non sarebbe mai stato mio senza l’appoggio dei miei compagni di corso e di altri amici che mi hanno sostenuta durante lo sclero-da-stesura-della-tesi. Il primo e l’ultimo ringraziamento va comunque a me stessa ed al mio relatore che, non solo ha creduto in me sin dal primo giorno di corso, ma ha anche saputo accettare e rispettare la mia fase di ritiro, ovvero quel momento in cui mi eclisso dal mondo alla spasmodica ricerca del coraggio.