Mi sono imbarcata in questa lettura con un filo di timore. Primo fra tutti il fatto che non mi sembrasse propriamente una lettura da vacanze di Natale, secondo, il mio conto in sospeso con un altro saggio di Galimberti, terzo ed ultimo, ma solo in ordine di apparizione, un po’ di sano timore reverenziale. In fondo chi sono io per permettermi di scrivere la mia opinione su un tale mostro sacro?
Ci ho pensato un po’, seduta sul letto a fissare i libri che avrei potuto scegliere; alla fine mi sono fatta coraggio e ne è valsa la pena.
Per i libri precedentemente recensiti avevo copiato le frasi che mi colpivano di più, ma sin dalla prima riga del primo capitolo di questo libro ho capito che avrei dovuto adottare un altro sistema, quello che odio tanto: avrei dovuto violare la sacralità della pagina stampata con delle volgari sottolineature in grafite…che orrore!
Armata di lapis eccomi pronta ad immergermi ne L’ospite inquietante. Come si evince dal titolo, il nichilismo è l’ospite inquietante che causa il malessere dei giovani, ma non si può certo ridurre questo libro ad un semplice trattato sul nichilismo. Certo si parla di Nietzche, ma c’è molto di più. Questo saggio è un urlo viscerale volto a destare tutti coloro che si voltano dall’altra parte. Dovrebbe essere una lettura obbligatoria per tutti i professori e soprattutto per tutti quelli che si lamentano del loro ruolo e delle loro responsabilità. A questa categoria di ‘prof’ (come ci/vi chiamano oggi gli studenti), rispondo con le parole di Galimberti:
“E allora un invito […] ai professori per ricordare loro che, quando sono a scuola, non hanno di fronte una ‘classe’, ma tante facce diverse da guardare per davvero in faccia, a una a una, senza nascondersi dietro la scusa che non si è psicologi, perché non si è neppure uomini se non ci si accorge della sofferenza di un giovane.”
L’opera di Galimberti è ricca di citazioni, di spunti di riflessione e di pensieri espressi con un linguaggio degno di un poeta. Quindi non stupitevi quando, nel capitolo dedicato alle tossicodipendenze, troverete questa frase:
“Tossici ed alcolizzati parlano in greco antico e descrivono la loro incapacità di ‘contenere’ con immagini platoniche.
E non stupitevi neppure quando nelle note a piè pagina leggerete i titoli di romanzi, di saggi, di opere classiche e di canzoni.
Se leggendo questo saggio vi sentirete persi o sopraffatti di fronte ad alcuni concetti, vi prego di non demordere, io l’ho fatto in passato, ma non questa volta ed a pagina 91 ho trovato una spiegazione inaspettata. Si parlava di droga, ma la parola ‘droga’, a mio avviso, può essere sostituita da qualsiasi altra parola:
“Il problema della droga va affrontato anzitutto a livello di storia delle idee, quindi con uno sguardo filosofico, che può sembrare inutile ed essere trascurato per negligenza, per pigrizia o per una certa fatica che tutti avvertiamo di fronte all’astrattezza, ma non può essere evitato, se non si vuol scambiare per razionale ciò che è semplicemente conseguente ad una determinata visione del mondo, dalla cui insidia non ci difenderà mai la nostra ignoranza.”
Preparatevi a scoprire cose inimmaginabili sulla storia della musica, ma soprattutto dimenticatevi di restare comodamente seduti in poltrona dopo aver letto questo libro perché la conclusione è un monito violento:
“Il futuro è già ben descritto nel presente giovanile che, se può apparire aberrante, è solo perché noi adulti, consegnati alla nostra rassegnazione, quando non al cosiddetto ‘sano realismo’, abbiamo svilito il segreto della giovinezza che è quel dispositivo simbolico in cui sono già ben scritte e descritte le figure del futuro, che solo la nostra pigrizia mentale ed affettiva ci impedisce di cogliere.”
Se avete un’età compresa fra i 14 ed i 30 anni vi farà molto piacere leggere anche questo passaggio:
“E allora è sulla cultura collettiva e non sulla sofferenza individuale che bisogna agire, perché questa sofferenza non è la causa ma la conseguenza di un’implosione culturale di cui i giovani, parcheggiati nelle scuole, nelle università, nei master, nel precariato, sono le prime vittime.”