Il mio primo cane si chiamava Zeus ed è grazie a questo libro se mi sono ricordata il perché della scelta di questo nome così importante.
Sono sempre stata un’avida lettrice e da bambina adoravo i miti greci, peccato solo che una quarta ginnasio affrontata con la luna storta adolescenziale sia riuscita a spazzare via anni ed anni di amore per la cultura greca, una pulizia così radicale che non sono bastati neanche il mio amore per la storia dell’arte e per il mio Zeus (alano nero di 75 chili) a ricordarmi delle mie origini.
Menomale che ci ha pensato la Marcolongo!
La misura eroica è la sua personale rilettura del mito degli Argonauti. Ho letto qualche recensione molto negativa, in cui si criticava il fatto che l’autrice avesse in qualche modo semplificato troppo la questione, ma io non credo che sia così. Penso piuttosto che la Marcolongo abbia selezionato le informazioni a lei più congeniali, più risonanti. Non penso che abbia peccato di leggerezza, ma penso semplicemente che si sia avvalsa del sacrosanto diritto di ogni lettore, quello cioè di leggere la propria storia fra le righe di quella scritta da qualcun altro.
Partire per un viaggio richiede grande coraggio.
Significa lasciare il porto sicuro per andare verso l’ignoto, ma significa anche avere la meravigliosa consapevolezza che al nostro ritorno non saremo più gli stessi. E che cos’è un viaggio se non la più perfetta delle metafore? Il viaggio può rappresentare la vita, una nuova esperienza o anche una singola giornata.
Ma la Marcolongo non parla solo di viaggio e di coraggio, parla anche di amore come unica forza che muove il mondo.
Sebbene sia chiaro sin dalle prime pagine che lo scopo dell’autrice sia quello di smuovere gli animi, ciò che ho apprezzato di più di questo libro è la ricchezza d’informazioni etimologiche e linguistiche. Per un’appassionata di lingue e linguaggio come me, leggere intere frasi che spiegano il significato che sta dietro ad alcuni verbi e sostantivi è assolutamente affascinante.
Una lingua è molto più di un insieme di parole, descrive un popolo ed il suo modo di pensare.
Prendiamo ad esempio il capitolo del libro in cui l’autrice spiega il concetto di misura. Lo fa partendo da Nemesi, la figura mitologica che rappresentava la misura della giustizia umana. La Marcolongo ci spiega che il nome Nemesi deriva dal verbo greco némo che significa distribuire, ma la dea non distribuiva premi o vendette, bensì limiti o metri. Nemesi si occupava delle scelte degli uomini perché ogni uomo aveva la propria vita con cui mettersi eroicamente alla prova secondo il proprio unico metro. Purtroppo il ruolo di Nemesi è andato perduto quando i Romani hanno introdotto il concetto di giustizia intesa in senso giuridico.
E questa è solo una delle tante riflessioni che si possono leggere in questo libro.
Capisco che riflettere sull’etimologia delle parole possa essere estremamente noioso, ma se state ancora leggendo questo articolo, lasciate che vi saluti con le parole che utilizza l’autrice per spiegare il significato di empatia:
“Vorremmo solo un essere umano che si faccia avanti, delicato, e che conosca la difficile arte di maneggiare il dolore. Qualcuno che sappia tenerlo fra le mani al posto nostro, osservarlo in ogni sua parte, reggerne il peso come se fosse una pietra appoggiata per un po’ sulla sua tavola. Qualcuno che sappia smontarlo in silenzio, alchimista dell’animo umano, rimontarlo, rimettere la loro posto tutti i pezzi di noi andati in frantumi, per poi restituircelo, quel dolore, senza parole, ma sonoro standoci accanto.”