Qualche tempo fa la mia amica Elena (che ha contribuito con i suoi preziosi articoli sul diario e sulla salutogenesi) mi ha suggerito di pensare ad un articolo conclusivo in cui si parlava dell’importanza della fase di ‘chiusura’ verso la quale mi stavo inevitabilmente avviando.
L'articolo lo avrebbe scritto lei.
Ho pensato da subito che la sua idea fosse geniale, ma fra broncopolmonite e l’evento dell’anno (la mia attesissima laurea!) ho perso del tempo prezioso e così, anziché ignorare in toto la questione, ho deciso di prendere il coraggio a quattro mani, rispolverare i miei appunti ed i libri del master in counseling e scrivere io l’articolo.
Del resto è pur sempre vero che sono io quella che si avvicina alla fine di questo anno da blogger.
Ovviamente il post del 31 Dicembre sarà dedicato proprio a tirare le somme di quest’anno ed anche a dichiarare i programmi per il 2018 (ho ancora 48 ore a mia disposizione e spero vivamente di riuscire a fare un po’ di chiarezza dentro di me!) quindi quello che leggerete oggi riguarda semplicemente l’importanza di curare la chiusura di questo 2017. In parole povere sarà il caso che cominci a prendere consapevolezza del fatto che fra 2 giorni è il 31 dicembre e non ho tutto il tempo del mondo a mia disposizione.
Ma di questo parleremo meglio fra poco, adesso veniamo alla Gestalt.
Al di là della definizione stessa della parola, che richiederebbe almeno 3 articoli diversi, quello che m’interessa raccontarvi riguarda il ciclo della formazione e distruzione della Gestalt, conosciuto anche come ‘ciclo dell’esperienza’ o ‘ciclo del contatto’.
Per usare le parole della Clarkson:
“Un bisogno emerge, viene soddisfatto ed emerge di nuovo; è la natura ciclica e pulsante dell’esperienza umana.”
Questo ciclo può essere rappresentato come una curva (vedi foto di copertina dell’articolo), oppure come un cerchio, proprio per sottolinearne la natura ciclica. In ogni ciclo, e quindi in ognuna delle nostre esperienze, è possibile riconoscere 4 fasi principali: pre-contatto, contatto, contatto finale e post-contatto.
Secondo la Clarkson però tutto ha inizio ancor prima che emerga il bisogno, durante una fase di ritiro o riposo, cioè un momento di tranquillità in cui i potenziali sviluppi futuri sono illimitati.
La domanda che rappresenta al meglio questa fase è: "Cosa potrebbe accadere d'interessante la prossima volta?"
E io direi che in questo sono fin troppo “brava” purtroppo. Come avrete notato in questi 363 giorni, riesco ad interessarmi alle cose con una velocità sconvolgente e questo, molto spesso, si trasforma in una serie infinita di Gestalt aperte, una matassa quasi impossibile da sbrogliare.
Il perché lo ignoro, per quello ci vuole un professionista! Per fortuna la Gestalt s'interessai del 'come' che del 'perché'.
Torniamo a noi. Nel momento in cui emerge il bisogno (che può essere anche semplicemente la fame o la sete, non c’è bisogno di pensare ad esempio troppo ‘alti’) ci troviamo nella fase del pre-contatto che diventa poi contatto non appena diventiamo consapevoli del nostro bisogno ed agiamo per soddisfarlo.
A questo punto entriamo nella fase del contatto finale, ovvero il momento in cui siamo totalmente immersi nell’esperienza. Pensate ad esempio di essere assetati e di poter finalmente bere un bicchiere di acqua, sono certa che almeno durante il primo sorso voi siate assolutamente rapiti -anima e corpo- da quel miracoloso liquido dissetante.
Il contatto finale segna la chiusura della Gestalt.
Siamo dunque arrivati alla fase del post-contatto ed è quindi giunto il momento di parlare della ‘chiusura’, aspetto da troppi sottovalutato. A tal proposito la Clarkson formula un pensiero molto interessante:
“Forse in una cultura fondamentalmente maschile, le parti iniziali del ciclo, attive e di attacco, sono sopravvalutate rispetto alle fasi successive, più archetipicamente femminili.”
In effetti, a pensarci bene, mi capita molto spesso di dare grande rilievo alle fasi organizzative ed al compimento stesso dell’azione, ma poi, quando si tratta di celebrare un successo, faccio piuttosto schifo.
Prendiamo ad esempio la mia laurea.
Non ero ancora stata proclamate ‘Dottoressa’ che già mi affrettavo a sottolineare l’inutilità di una laurea triennale, precludendomi così la possibilità di gioire per il mio successo. Ho detto a tutti “eh, alla buon ora mi sono laureata“, ma non ho raccontato a nessuno delle notti in bianco, delle corse in bagno e dei pianti isterici. Ho passato il tempo a vergognarmi della mia incapacità di gestire l’ansia da esami quando invece avrei dovuto celebrare la mia forza, il mio coraggio.
Ognuno di noi ha bisogno di coraggio per affrontare la vita e, per citare GOT, “si può essere coraggiosi solo quando si ha paura” ed ognuno di noi ha paura di qualcosa di diverso.
La fase di chiusura è importante; è il momento in cui ognuno di noi saluta l’esperienza appena vissuta apprezzandola in pieno. E’ in questa fase che si dà significato al nostro vissuto.
Ovviamente la teoria si discosta sempre molto dalla realtà e può capitare che questo meraviglioso flusso s’interrompa da qualche parte. Delle conseguenze delle interruzioni parleremo nel 2018, per oggi m’interessava ricordarvi l’importanza di prendersi il proprio tempo per poter concludere un’esperienza.