Già ieri tessevo le lodi di questa influenza che, oltre alla febbre, ha portato con se un po’ di riposo. Nell’elencare i lati positivi del periodo di ‘malattia’ ne ho però dimenticati alcuni molto importanti. Prima che si palesassero gli effetti collaterali di alcuni medicinali, ho usato questo periodo di influenza per coccolarmi con alcuni cibi che altrimenti non tocco.
Il primo posto è quello dei biscotti Plasmon.
Con tutto il male che posso aver causato al mio organismo, per i primi 20 anni della mia vita nella mia dispensa c’era sempre una confezione di biscotti Plasmon. Ne mangiavo una ‘stecca’ intera (eh sì, perchè prima le confezioni erano basse e lunghe), possibilmente sotto forma di gustoso pappone nel latte.
Lo so, sono disgustosa.
Erano anni che non li mangiavo, eppure ne ricordavo il gusto alla perfezione ed anche la ‘tecnica’ per mangiarli mi è tornata in mente in maniera spontanea. Ho preso in mano il biscotto ed ho praticato l’incisione (con gli incisivi per l’appunto) su entrambi i lati in modo che il biscotto si inzuppasse meglio.
Mi è venuto spontaneo, la forza dell'abitudine, come se non ci fosse altro modo per mangiare i Plasmon.
Bene, mi rendo conto che forse avrei potuto intitolare questo articolo ‘Ode ai Plasmon’, ma mi pareva un po’ esagerato. In foto vedete anche la novità della Kinder, le Cards, merendina al cioccolato apparentemente impossibile da trovare, almeno fino a pochi giorni fa. Mia mamma, oltre a quello che vedete in foto, aveva comprato anche il Pandoro, peccato solo che debba seguire un’alimentazione ‘in bianco’. Grazie care medicine, è per questo che non vi prendo volentieri.
E niente, non so bene come farò a rientrare a lavoro, ora che mi sono abituata a fare merenda alle 17 in punto, pranzo all’una e cena ad un orario decente. Rispetto i 5 pasti al giorno, mi sveglio senza dover puntare la sveglia, leggo, scrivo, sto con i cani. Sarebbe perfetto se potessi mettere il naso fuori dalla porta, ma mi accontento ampiamente anche così.
Sarà dura, ma ce la farò.
Ancora una volta si conferma la mia ‘vecchiaia’ o forse il mio modo semplice di vedere le cose. Un tetto, un bosco, una coperta, una tazza di tea, un film, un libro e la famiglia (cani ed umani). Ancora meglio se il tutto è condito con l’assenza di corse e ritmi folli.