Finalmente un romanzo storico per ragazz* che non sia ambientato durante la seconda guerra mondiale, bensì durante le sanguinose battaglie necessarie a raggiungere l’unità d’Italia. Ma Di fuoco e seta è molto più di questo; è un caleidoscopio di storie tenute insieme da un elemento fantastico che scoprirete solo alla fine di questo meraviglioso romanzo e che tenterò di non rivelare in alcun modo.
La narrazione si apre nel presente, con Lianna che torna al paese natale della madre per tentare di elaborarne la perdita. L’incipit è una bomba:
“E’ scomodo avere una lapide per madre, perché non può darti consigli sul taglio di capelli.”
Arrivata a Solferino, Lianna incontra Asé, un uomo vecchio, storto e apparentemente burbero con il quale però nasce subito un’amicizia. Sarà lui a raccontargli la storia di Visio, Altea e Sante, tre giovanissimi ragazzi vissuti in quelle stesse terre in un periodo a cavallo fra ‘800 e ‘900. Ma perché raccontare una storia appartenuta al passato? Asè lo spiega a Lianna con queste parole:
“Le storie sono candele le cui fiamme vanno protette e per tenerle accese c’è bisogno di chi le scrive e di chi le legge. O di chi le dice e di chi le ascolta. Solo così il fuoco passa di stoppino in stoppino e continua a scaldarci a lungo.”
E’ una storia di seta perché Altea possedeva bachi da seta ed una meravigliosa collezione di foulard, ma è anche una storia di seta per la delicatezza di alcuni sentimenti, gli stessi sentimenti che possono trasformarsi in fuoco. Il fuoco infatti, a mio avviso, non è solo quello più scontato della guerra, ma è anche quello che accende ideali e crea legami indissolubili. L’amore fra Altea e Visio che negli anni prenderà un’altra forma, il rapporto di fratellanza che si stabilisce fra Visio e Sante e l’ardore con cui quest’ultimo mette da parte ogni paura e va a combattere per un bene superiore.
Conosco Manlio Castagna scrittore dal suo esordio con la trilogia di Petrademone e mi prendo sempre un tempo più lungo di lettura per i suoi romanzi rispetto ai miei ritmi standard, come se avessi necessità di far sedimentare i personaggi, di digerire quella mole enorme di informazioni e suggestioni che mi arrivano da poche parole. Quando Asé interrompeva il racconto, io ho chiuso il libro ed ho aspettato il giorno dopo, proprio come è costretta a fare la nostra Lianna. I capitoli di questo libro sono brevissimi, t’invogliano a scoprire di più, ma allo stesso tempo invitano alla lentezza, un ritmo che sembriamo non conoscere più e che invece dovremmo riscoprire.
Un altro invito alla riscoperta, lo troviamo anche nelle ultime pagine del libro, quando Lianna si prepara a tornare a casa:
“Ho lasciato Asé con un abbraccio lungo. Che cose preziose sono gli abbracci, dimentichiamo che le gioie più dolci si trovano negli atti più semplici: abbracciarsi, ridere, guardare il tremare delle foglie di un albero in silenzio, tenersi per mano, ascoltare una musica che ci piace, condividere storie, una visita senza fretta, provare nostalgia per qualcosa che non si è mai vissuto.”
Come potete capire sono moltissimi i temi affrontati: la guerra, l’amore, l’amicizia, l’elaborazione del lutto, il rapporto con le storie e le dinamiche intergenerazionali. Trovo che, sotto più aspetti, questo romanzo sia anche una storia di rinascita, quella di Visio la notte in cui gli sparano alle spalle, ma anche quella di Lianna quando riesce ad abbracciare il suo dolore.
Non dico altro sulla trama perché rischio davvero uno spoilerone gigantesco, ma concludo con una menzione speciale che va a Nabucco, il cagnolino di Sante, poi adottato da Visio. E’ una presenza costante ed importante, persino emozionante per chi, come me, condivide la propria vita con i cani.