Oggi giornata campale, ma veramente campale, talmente campale che a pochi metri dalla macchina, dopo 12 ore trascorse fuori casa, sono quasi svenuta.
Quasi, ma come si dice in Toscana, “vicino un conta”.
Quando finalmente ho varcato la porta di casa ho trovato i cani ad aspettarmi e, soprattutto, un bel piatto di minestra di ceci. Esattamente ciò di cui avevo bisogno. La cena pronta che profuma di amore materno e che mi salva dall’abbrutimento.
Come potrete ben immaginare, ho delle serie difficoltà a mettere insieme più di due parole quindi ho pensato di deliziarvi con le parole di chi, dal carcere, ha saputo parlare di amore e di speranza. Si tratta del poeta turco Nazim Hikmet, conosciuto grazie a mia madre e di cui mi sono innamorata, forse per la seconda volta, grazie a Ferzan Ozpetek (guardatevi Le fate ignoranti).
Questa poesia s’intitola 1942.
“Il più bello dei mari
è quello che non navigammo.
Il più bello dei nostri figli
non è ancora cresciuto.
I più belli dei nostri giorni
non li abbiamo ancora vissuti.
E quello
che vorrei dirti di più bello
non te l’ho ancora detto.”